l bosco e le aree limitrofe sono particolarmente ricchi di specie spontanee eduli sia vegetali che fungine. Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per alimenti con elevata qualità nutrizionale che ha portato ad una maggiore attenzione verso le specie spontanee.
Le specie spontanee eduli studiate nel progetto saranno valorizzate, introdotte come colture per la creazione di nuove opportunità di reddito ed utilizzate per la realizzazione di nuove ricette.
È presente dalle zone costiere fino agli 800 m di altitudine. Vive nei terreni incolti, aridi, sassosi; nei terreni fertili le piante assumono dimensioni notevoli. La borragine si raccoglie dall’autunno alla primavera.
È un’ottima nettarifera, tanto che viene indicata come “il pane delle api” e il miele ha un gradevole aroma.
Della borragine si utilizzano tutte le parti della pianta. Se in stadio giovanile si usa l’intera pianta, mentre della pianta adulta si usano solo gli steli e le foglie tenere. Le foglie ruvide coperte di peli ispidi non creano problemi, perché perdono la loro rigidità con l’aceto, quando si consumano crude in insalata, o mediante la cottura. I fiori vengono consumati sia in boccio che aperti. Si conoscono oltre 30 ricette a base di borragine. E’ ricca di potassio e vitamina A.
Le foglie contengono un’elevata capacità antiossidante dovuta all’acido rosmarinico. Si raccomanda di non abusare nel consumo per la presenza di alcaloidi pirrolizidinici, potenzialmente tossici.
Cresce nei terreni incolti e aridi; è rinvenibile fino agli 800 m di altitudine. Della cardogna comune o cardoncellosi utilizzano sia le radici che le nervature centrali delle foglie, prima che vengano emessi i fusti fiorali.
Le radici vengono raccolte e vendute nel periodo pre-natalizio e si mangiano crude a carpaccio oppure bollite o stufate. La parte aerea viene raccolta allo stadio di rosetta tra l’autunno e la tarda primavera, in base all’andamento climatico. Le nervature centrali delle foglie vengono bollite ed utilizzate, da sole o insieme ad altre erbe, per preparare piatti tipici nel periodo pasquale.
Gli steli teneri decorticati venivano usati dai pastori per dissetarsi durante il pascolo del gregge. Mostra proprietà toniche, digestive, diuretiche e di protezione delle malattie epatiche.
La cicoria selvatica è l’erba spontanea edule più conosciuta e ricercata. Si rinviene comunemente in tutte le regioni italiane dal mare alla montagna, può vivere in terreni sia acidi che alcalini, preferisce terreni umidi ma ben drenati, rifugge le aree in ombra.
Si raccoglie da ottobre ad aprile. Sono commestibili radici, foglie e fiori. Il colore azzurro dei fiori esercita una particolare attrazione su molti insetti impollinatori, tanto che molti apicoltori seminano la cicoria vicino agli alveari. La cicoria può essere considerata un “orologio floreale” in quanto i fiori si aprono ad ore fisse e si chiudono circa 5 ore dopo.E’ ricca di potassio e vitamina B2. Mostra buona attività antiossidante grazie all’elevato contenuto di acido clorogenico e quercetina.
Nella medicina popolare la cicoria selvatica è considerata rimineralizzante, antianemica, aperitiva, diuretica, stomachica, coleretica, leggermente lassativa. Esistono oltre 100 ricette.
Il boccione minore vegeta fino a 800 m di altitudine in campi incolti, prati aridi, nei pressi dei ruderi e lungo i bordi stradali.
Le foglie commestibili si raccolgono allo stadio di rosetta da dicembre fino all’inizio primavera quando compare lo scapo fiorale anch’esso commestibile quando ancora tenero. Dalle radici si possono estrarre sali con proprietà sedative ed antispasmodiche.
Le foglie più tenere vengono lessate e condite, da sole o insieme ad altre verdure oppure saltate in padella con olio ed aglio. Il sapore dolce delle foglie permette il consumo crudo in insalata da sola o mista ad altre verdure.
Il tarassaco detto anche dente di leone, soffione o piscialetto è particolarmente diffuso su tutto il territorio nazionale. Cresce nei prati, sulle strade, in zone caratterizzate da terreni umidi.
Il tarassaco si riconosce facilmente per i suoi fiori di colore giallo intenso, che si chiudono al calar del sole e si riaprono al ritorno della luce. Al capolino sussegue un globo piumoso bianco-argentato, dotato di numerosi acheni (semi); da qui l'appellativo di "soffione". Il tarassaco può essere usato crudo o cotto, sia da solo che con altre verdure.
Anche i petali dei fiori possono contribuire a dare sapore e colore a insalate miste. I boccioli sono apprezzabili se preparati sott'olio; sotto aceto possono sostituire i capperi. Il tarassaco è ricco di fibre solubili, fitosteroli, antiossidanti fenolici, potassio, magnesio, vitamina C e carotenoidi. Il tarassaco favorisce la diuresi, la sintesi di bile e il flusso biliare e la disintossicazione del fegato. Al tarassaco vengono attribuite anche proprietà antinfiammatorie, ipoglicemiche, stimolanti l'attività pancreatica e ipocolesterolemizzanti.
Come tutte le composite, la radice di tarassaco è ricchissima di inulina, una fibra solubile con effetti prebiotici, utili per migliorare la funzionalità intestinale.
L'asparago selvatico è una pianta sempreverde cespugliosa, perenne, reperibile in tutto il bacino del Mediterraneo.
E’ tipica degli ambienti aridi, resiste alla salinità e cresce in tutte le regioni italiane fino a 1300 m di altitudine. Cresce in macchie, leccete, boschi di caducifoglie, terreni incolti, vicino ai muri a secco ed in boschi colpiti da incendi.
E’ una specie con buona capacità di ricaccio. In cucina si utilizzano i giovani fusti (turioni), che si raccolgono da fine inverno fino a primavera inoltrata. In caso di incendio estivo del bosco, i turioni possono comparire anche a fine estate fino all’autunno. Da non confondersi con il luppolo selvatico o con i germogli di pungitopo, entrambi chiamati anche "asparagi selvatici".
E’ ricco di proteine e vitamina A. Secondo la medicina popolare ha proprietà diuretiche, antireumatiche, depurative e lassative. Dopo il consumo di asparagi le urine emanano uno sgradevole odore. Il loro consumo è sconsigliato a chi soffre di infiammazioni renali, litiasi e gotta.
Specie di origine mediterranea è presente in Italia in tutte le regioni fino a circa 1000 m di quota.
Predilige i luoghi soleggiati, incolti, secchi e ciottolosi. Si raccoglie da maggio ad ottobre. Tutte le parti della pianta trovano impiego in cucina. Le foglie si raccolgono in primavera, mentre in estate e in autunno vengono raccolti i fusti con le ombrelle ed i loro frutti. Il finocchio era considerato una delle 9 erbe sacre usate per curare le malattie nel medioevo.
Il finocchio selvatico ha un basso potere calorico. Ad esso vengono attribuite proprietà depurative, aperitive e digestive. L’essenza principale è costituita dall’anetolo da cui dipende il suo aroma. Infusi di semi stimolano la secrezione lattea. Le proprietà medicinali sono dovute principalmente agli olii essenziali presenti soprattutto nei frutti.
Il grespino è detto anche sivone o sonco o zzanguni. In Puglia ci sono diversi tipi di grespino: spinoso (Sonchus asper L.), comune (Soncus oleraceus L.) e sfrangiato (Soncus tenerrimus L.).
E’ presente ovunque, nei terreni incolti, negli orti, nei giardini, lungo i bordi stradali ma anche nelle fessure dei marciapiedi e nelle crepe dei muri. Si può raccogliere in qualsiasi stagione dell’anno, ma il periodo migliore è quello autunno-primaverile. Si usano soprattutto le foglie di tutta la pianta raccolta allo stadio di rosetta. I bocci fiorali possono essere utilizzati come succedanei dei capperi.
Hanno un gusto amarognolo e vengono impiegati sia crudi che lessi, da soli o con altre erbe spontanee. Sono un ingrediente fondamentale in zuppe di verdure e nei ripieni per tortini e frittate. Nel passato le sue radici venivano tostate, macinate ed usate quale succedaneo del caffè. Ha proprietà depurative, epatoprotettive, diuretiche e rimineralizzanti.
Il cardoncello detto anche carboncello, orecchio, carderello, ferla, galdula, ferula e ferlengo è un fungo commestibile molto ricercato ed apprezzato, noto fin dall'antichità.
È originario del bacino del Mediterraneo e cresce spontaneamente in quasi tutta l'Italia centromeridionale. Si caratterizza per sfumature bianco-brunastre, ma la sua colorazione cambia in base al clima. Il cardoncello fruttifica tra la primavera e l'autunno sulle radici morte delle ombrellifere o del cardo; ma lo si può trovare in pieno campo sui terreni rocciosi anche d'inverno. Ha un sapore dolce, gradevole.
Per via di una polpa bianca e consistente, che rimane profumata e croccante, è adatto in padella, arrostito e trifolato; si presta anche alla conservazione sott’olio ed all’essicazione. I cardoncelli sono ricchi in fosforo, vitamina B1 e B2, calcio e ferro e sono particolarmente amati per le loro proprietà medicali: hanno un effetto antinfiammatorio, antiaggregante piastrinico, antiossidante, ipocolesterolemizzante e aiutano ad accrescere le difese del sistema immunitario. Sono inoltre poveri in grassi, pur avendo un elevato contenuto in fibre, proteine e carboidrati, che li rende ideali per le diete vegane e vegetariane.
Il gallinaccio o galletto o canterello cresce in Europa, dalla Scandinavia fino alla macchia Mediterranea, preferibilmente neisottoboschi di conifere e di betulle, soprattutto se il terreno si presenta acido, ricco di sostanze organiche e con un grado di umidità sopra la media.
Il gallinaccio presenta cappello e gambo di colore bianco con le caratteristiche lamelle di colore giallo brillante che lo evidenzia anche a distanza. La sua polpa è bianca, fibrosa, giallastra direttamente sotto il primo strato della cuticola.
Il gallinaccio ha un odore intenso, dolce ed un profumo molto piacevole che ricorda i boschi bagnati dalla pioggia quando viene cotto, mentre da crudo è inodore. Per la raccolta del gallinaccio bisogna attendere l’autunno, anche se lo si può trovare pure in primavera dopo abbondanti piogge. Le varietà del gallinaccio sono molteplici e tutte commestibili, inoltre non presentano caratteristiche di tossicità. Per il loro sapore marcatosi prestano facilmente ad arricchire le pietanze della cultura culinaria italiana, soprattutto risotti e carni rosse. il galletto può essere consumato anche crudo direttamente in insalate.
Le ortiche sono considerate amiche dell’uomo, perché vivono dove l’uomo lascia le sue tracce e i suoi rifiuti. Spesso intorno alle case, terreni abbandonati, radure dei boschi, in ogni caso in terreni ricchi di azoto e umidi dove spesso formano colonie.
Si raccolgono generalmente in autunno e primavera, ma in alcune aree anche in inverno ed estate. Sono commestibili le piantine, i giovani getti apicali e le foglie. Sono ricche di potassio e calcio, vitamina A e C. In particolare il contenuto di acido ascorbico è circa 3 volte quello delle arance, notoriamente ricche di vitamina C. Le ortiche possono essere impiegate nelle pietanze in sostituzione degli spinaci. La loro azione urticante svanisce con la cottura.
Considerata sin dall’antichità ricca di proprietà medicinali, recentemente la ricerca scientifica ha evidenziato le sue proprietà antiossidanti, antiaggreganti delle piastrine, analgesiche, antinfiammatorie, antimicrobiche, epatoprotettive e ipoglicemizzanti. L’ortica è da molto tempo utilizzata in trattamenti del cuoio capelluto per prevenire la caduta dei capelli.
Resistente all'aridità, è capace di adattarsi anche a climi relativamente freddi. È facilmente riconoscibile d'inverno in quanto mantiene le foglie secche attaccate ai rami, a differenza delle altre specie di querce. Il principale carattere diagnostico per identificare la specie è quello di osservare le foglie o le gemme: sono ricoperte da una fine peluria (pubescenza) che si può facilmente apprezzare al tatto.
Le doti di rusticità e plasticità di questa pianta, grazie soprattutto all'enorme vitalità della ceppaia, hanno permesso alla roverella, attraverso i secoli, di resistere agli interventi di ceduazione.
Le ghiande sono dolci e venivano utilizzate non solo per l'alimentazione dei maiali ma anche, nei periodi di carestia, per fare una specie di pane o piadina di ghianda. Generalmente nell'Italia centro-meridionale venivano lasciati degli esemplari di roverella lungo i confini di proprietà, così che è possibile in certi casi ricostruire detti confini esaminando la presenza dei grossi esemplari della specie.
Pianta eliofila ma si adatta a vivere anche in posizioni ombrose; si trova facilmente nei boschi e lungo le siepi ove, più che altrove, riesce a mettere in atto le sue capacità pollonifere; comune anche negli incolti, lungo le scarpate dei fossi, etc.; entrambe le sottospecie presenti in Italia vegetano dal livello del mare fino ai 1000-1200 m di quota.
La vegetazione ad Ulmus minor si rinviene in maniera molto frammentaria nei tratti più profondi delle gravine, in corrispondenza della zona di esondazione del terrazzo fluviale più basso del corso d’acqua, dove si accumulano spesse coltri di sedimenti alluvionali che danno luogo ad un substrato ciottoloso e a tratti sabbioso-limoso.
Latifoglia decidua e longeva, che talvolta può superare i 600 anni di età; se la crescita avviene nel sottobosco si presenta come arbusto pollonifero mentre, se si sviluppa come pianta isolata, assume un aspetto maestoso, potendo raggiungere o superare l'altezza di 30 m, e più raramente di 40 m. Fusto eretto ed abbondantemente ramoso; corteccia in gioventù di colore grigiastro, liscia e munita di numerose lenticelle, tende ad inspessirsi con l'età, divenendo spesso suberosa, screpolata o solcata longitudinalmente, e assumendo toni brunastri più o meno scuri; i rami possono essere lisci o suberoso-alati.
I frutti immaturi, appena formati, possono essere mangiati crudi, in insalata: hanno un gusto aromatico ed inconsueto che lascia la bocca fresca, l'alito piacevole e sono un buon alimento, ricco di proteine vegetali.
Specie termofila ed estremamente resistente alla siccità. In natura occupa l'areale più meridionale dei tre pini mediterranei. Il clima mediterraneo è l’ambiente perfetto per questo particolare tipo di pino, che rimane ad ogni modo un pino non capace di arrivare a grandi dimensioni, a differenza di altri pini, quindi al massimo a 15 metri/25 metri circa; tuttavia è raro che raggiunga altezze così vicine al limite.
Il tronco del pino di Aleppo detiene un diametro che si avvicina ai 60 centimetri ma che può arrivare, anche qui in casi eccezionali, al metro. Le foglie di questo pino sono tipicamente a forma di aghi e dal colore verde, le pigne sono verdi nei primi tempi, e con la matruazione arrivano a essere tendenti al marrone. Si riproduce solitamente grazie al vento che disperde i piccoli semi contenuti nelle pigne.
Per quanto riguarda l’uso nel cibo, il pino di Aleppo viene tradizionalmente impiegato, tramite le sue resine, per la preparazione del vino greco “retsina“; inoltre i semi di pinus halepensis vengono lavorati e sbucciati (per coglierne la parte commestibile, ovvero la parte del pinolo che mangiamo solitamente) per preparare un piatto tipico tunisino, ovvero il budino “assidat zgougou“.
L'acero campestre è un albero diffuso in Europa e Asia. In Italiano viene anche chiamato loppio o testucchio. In Italia è molto comune nei boschi di latifoglie mesofile, insieme alle querce caducifoglie dal livello del mare fino all'inizio della faggeta. L'acero è una pianta mellifera, molto visitata dalle api per il polline ed il nettare, ma il miele monoflorale d'acero è raro.
Essendo un albero di modeste dimensioni e sopportando bene il taglio, è stato ampiamente utilizzato come tutore per la vite. Possiede proprietà lievemente anticoagulanti, aiuta nella prevenzione delle calcolosi e nelle cure successive alle manifestazioni di Herpes zoster; il decotto di corteccia è usato anche come rinfrescante intestinale. Antiche credenze popolari conferivano all'acero proprietà magiche contro le streghe, i pipistrelli, e la sfortuna. Il decotto di corteccia è utilizzato negli eritemi della pelle; alcune persone usano aggiungere all'acqua del bagno, un pugno di corteccia tritata per rinfrescare la pelle.
Sorbo domestico appartiene alla Famiglia delle Rosaceae. È una specie originaria dell'Europa Meridionale, dalla Spagna alla Crimea e all'Asia Minore, spesso coltivata per i frutti anche fuori dal proprio areale. In Italia si trova sporadico in tutta la penisola e nelle isole, nei boschi montani di latifoglie preferenzialmente su substrato calcareo.
Albero alto fino a 13 metri, molto longevo; i rami sono grigio tomentosi poi glabri, con gemma quasi glabra e vischiosa. Foglie alterne imparipennate, composte, lunghe fino a 20 cm, con 6-10 paia di foglioline ovale o lanceolate sessili, dentate ai margini, acute all'apice, sopra glauche e tomentose sotto.
I frutti sono commestibili, di sapore acidulo, ricchi di acido malico e vitamina C, se ammezziti diventano dolci, con polpa farinosa molle. Attualmente il sorbo domestico viene considerato un frutto minore perché sono veramente pochi quelli che ancora consumano questa prelibatezza. Pensare che i romani ne andavano pazzi, erano soliti preparare sorbole sott’aceto oppure le cucinavano nel vino.
Caratterizzate da un sapore aspro che diviene estremamente dolce dopo il periodo di ammezzimento, le sorbole sono sempre state consumate dall’uomo come dagli animali, tanto che una specie di sorbo, la aucuparia, produce uno tra i frutti più ambiti dall’avifauna del nostro Paese. Da inizio ‘900, le sorbe vengono utilizzate in industria alimentare per estrarre sorbitolo a uso conservante ma con il passare del tempo neppure questa attività è bastata a evitare la perdita di interesse verso questo frutto.
Ad oggi solo pochi fortunati continuano a utilizzare e apprezzare le sorbole in cucina, seppur si prestino a molte preparazioni. Oltre al consumo fresco, infatti, possono esser messe a essiccare al sole per essere gustate come fossero prugne, oppure, passate a dovere, per preparare una purea dalle caratteristiche simili a una marmellata.
Cotte e servite nel vino, proprio come facevano ai tempi dell’antica Roma, sono una prelibatezza che in pochissimi hanno provato; altre fonti, invece, suggeriscono che nel passato fossero soliti bollire in acqua le sorbe insieme ad altra frutta secca per preparare un decotto estremamente sfizioso. E il sorbetto? Le sorbole sono perfette per questa preparazione: basterà unire in una terrina passata di sorbe, zucchero, succo di limone e panna fresca. Una volta ben amalgamati gli ingredienti, si sistemano nella gelatiera fino al raggiungimento della consistenza desiderata.
Diffuso lungo le zone costiere settentrionali del Mar Mediterraneo, dalla Spagna alla Grecia e nell'Asia Minore, passando per la Svizzera e l'Italia. In Italia cresce spontaneamente nelle zone centro-meridionali e lungo le coste; nelle regioni settentrionali è invece coltivato e talvolta naturalizzato. L'ampia diffusione spontanea in condizioni naturali ha fatto individuare uno specifico tipo di macchia: la macchia ad alloro o Lauretum. Si tratta della forma spontanea di associazione vegetale che si stabilisce nelle zone meno aride dell'area occupata in generale dalla macchia.
Per quanto concerne gli utilizzi che vanno oltre la fitoterapia, è possibile usufruire dei benefici dell’alloro anche in cucina. Le foglie integre o macinate di alloro si prestano molto bene all’arricchimento dei cibi. L’aroma intenso e dolciastro rende questa spezia particolarmente indicata per esaltare il sapore delle carni e dei pesci, risultando adatta alle marinature o alla semplice guarnizione delle portate. Nel periodo invernale, l’alloro può essere efficacemente utilizzato per aromatizzare fantasiose minestre di legumi, addizionando al preparato dei “mazzetti” di foglie di alloro, con o senza l’aggiunta di ulteriori erbe, in modo che possano sprigionare tutti i propri aromi.
Affinché il risultato sia soddisfacente, le erbe aromatiche dovrebbero essere rimosse soltanto a fine cottura. Unitamente ad un olio d’oliva di buona qualità, l’alloro può essere efficacemente impiegato per la realizzazione di vellutate vegetali con le quali mantecare il riso, ottenendo dei primi piatti dal sapore particolare. Inoltre, l’alloro può costituire un’ottima opzione per la preparazione di un olio d’oliva aromatizzato, da poter utilizzare nel condimento di piatti raffinati. Il procedimento generale consiste nel disporre alcune foglie di alloro fresche o essiccate in un recipiente di vetro scuro, e nel coprire le stesse con un olio d’oliva di ottima qualità. Il preparato potrà essere utilizzato al termine di un periodo di macerazione di circa due settimane. L’intensità del sapore finale può variare a seconda delle quantità di partenza. In generale, è consigliabile partire da 4-5 foglie di alloro per circa 300 ml di olio, tuttavia, nulla vieta di utilizzare più alloro e ottenere un composto dal sapore più deciso. Il medesimo principio può essere applicato alla preparazione di un aceto aromatizzato all’alloro. Allo stesso modo, l’alloro è particolarmente indicato anche come erba aromatica da aggiungere alle conserve di verdure, generalmente associato ad altre erbe e spezie.
È la specie di rosa spontanea più comune in Italia, e molto frequente nelle siepi e ai margini dei boschi. Talvolta viene chiamata rosa di macchia, oppure rosa selvatica. Nell’area di interesse è presente anche la Rosa sempreverde o Rosa di San Giovanni (Rosa sempervirens L.).
Viene largamente usata per i suoi altissimi contenuti di vitamina C : 2.250 mg per 100 g di porzione edule, e per il suo contenuto di bioflavonoidi (fitoestrogeni). La rosa canina è un'erba officinale e un'erba medicinale.
I principi attivi (oltre alla vitamina C, tannini, acidi organici, pectine, carotenoidi e polifenoli) vengono usati dalle industrie farmaceutiche, alimentari e cosmetiche; i frutti, seccati e sminuzzati, vengono usati in erboristeria per la preparazione di infusi e decotti. È indicata come astringente intestinale, antidiarroico, vasoprotettore e antinfiammatorio, inoltre viene consigliata nei casi di debilitazione. I semi vengono utilizzati per la preparazione di antiparassitari ed i petali dei fiori per il miele rosato. Il suo decotto viene utilizzato in cosmetica per pelli delicate e arrossate. Con i frutti freschi si preparano ottime confetture. Si ricava una marmellata anche dai petali di rosa, come la vartanush. Sempre con i frutti è possibile preparare un liquore chiamato gratacül, dal nome dialettale gratacü delle bacche nel nord Italia (Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna).
La rosa canina può essere usata con successo per creare siepi interpoderali o difensive, quasi impenetrabili, per le numerose spine robuste che possiede lungo tutti rami. È una pianta mellifera, i fiori sono molto bottinati dalle api, che ne raccolgono soprattutto il polline, ma produrre del miele uniflorale è molto difficoltoso perché è solo sporadica.
La Fillirea è una pianta arbustiva sempreverde tipica della macchia mediterranea, appartenente alla famiglia delle Oleacee. È un arbusto o piccolo albero alto mediamente 1-5 metri, raramente fino a 10-15 metri. Possiede corteccia liscia, grigiastra, che si screpola finemente con l’età e che ricorda vagamente l’olivo selvatico. Fiorisce da marzo a maggio. Il frutto, non commestibile, è una piccola drupa ovoide, di colore bluastro a maturità. La Fillirea a foglie strette non è facilmente riconoscibile a causa della marcata variabilità della specie. Generalmente vive in ambienti più xerici (aridi) rispetto alla congenere.
Le foglie sono più sottili e hanno meno nervature secondarie rispetto alle foglie della fillirea comune. Il frutto è una piccola drupa nera, acuminata all’apice. In Abruzzo la pianta è utilizzata per la realizzazione di scope e come foraggio per il bestiame, nel periodo invernale. La corteccia ha proprietà tintorie. La pianta si presta ad usi ornamentali, data la sua resistenza alle potature e ai fattori climatici avversi ed è utilizzata nei rimboschimenti nelle aree mediterranee.
La fillirea a foglie strette, nelle località adatte, è utilizzata per consolidare le zone retrodunali. Le foglie possiedono proprietà medicinali antinfiammatorie.
ll lentisco è una specie diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo prevalentemente nelle regioni costiere, in pianura e in bassa collina. In genere non si spinge oltre i 400-600 metri. La zona fitoclimatica di vegetazione è il Lauretum. In Italia è diffuso in Liguria, nella penisola e nelle isole. Sul versante adriatico occidentale non si spinge oltre Ancona. In quello orientale risale molto più a Nord, arrivando a tutta la costa dell'Istria.
È una pianta eliofila, termofila e xerofila, resiste bene a condizioni prolungate di aridità, mentre teme le gelate. Non ha particolari esigenze pedologiche. È uno degli arbusti più diffusi e rappresentativi dell'Oleo-ceratonion, spesso in associazione con l'olivastro e il mirto. Più sporadica è la sua presenza nella macchia mediterranea e nella gariga. Grazie alla sua frugalità e ad una discreta resistenza agli incendi è piuttosto frequente anche nei pascoli cespugliati e nelle aree più degradate residue della macchia. Al lentisco vengono riconosciute proprietà pedogenetiche ed è considerata una specie miglioratrice nel terreno. Il terriccio presente sotto i cespugli di questa specie è considerato un buon substrato per il giardinaggio. Per questi motivi la specie è importante, dal punto ecologico, per il recupero e l'evoluzione di aree degradate.
Pur avendo perso gran parte della sua antica importanza, il lentisco è una specie che ha ancora una larga utilizzazione per molteplici scopi. In Sardegna l'olio di lentisco (oll'e stincu) è stato fino al XX secolo il grasso alimentare vegetale più consumato dopo l'olio d'oliva e dell'olio di olivastro. L'olio d'oliva di una certa qualità era infatti destinato alle mense dei ricchi e per le occasioni particolari, mentre gran parte dell'olio prodotto, essendo di scarsa qualità, era utilizzato prevalentemente per alimentare le lampade. L'olio di lentisco era forse apprezzato per le sue spiccate proprietà aromatiche, di gran lunga superiori a quelle dell'olio lampante, ma in ogni modo si trattava di un alimento destinato alle mense dei poveri, a cui si faceva largo ricorso in periodi di carestia e in occasioni di scarso raccolto dagli olivi e dagli olivastri. La tradizione dell'olio di lentisco come grasso alimentare si è persa nella metà del XX secolo, allorché nel Secondo Dopoguerra si è avuta una maggiore diffusione prima dell'olio d'oliva, poi degli oli di semi. Si tratta di un olio con una resa bassa (8-13%), di conseguenza relativamente costoso, con una distribuzione di acidi grassi (50-60% acido oleico, 20-30% acido palmitico, 10-25% acido linoleico molto simile a quella di decine di piante oleaginose con resa molto più alta. In seguito, l'olio di lentisco ha avuto rare utilizzazioni sporadiche come prodotto di nicchia o per scopi folcloristici. L'uso dei frantoi oleari per estrarre l'olio di lentisco è sconsigliabile, in quanto le proprietà organolettiche dell'olio d'oliva estratto in lavorazioni successive sono inquinate da quelle aromatiche del lentisco.
La resina del lentisco è detta mastice di Chio o mastic e in diverse lingue è indicata con il termine di mastice. Di colore giallo, veniva usata in passato come gomma da masticare anche per la sua azione benefica sul cavo orale (rassodante delle gengive e purificante dell'alito). Sull'isola greca di Chio, che è il luogo di produzione della resina di maggior pregio, viene preparato un liquore aromatico derivato dalla resina, con funzioni digestive, molto apprezzato, il Mastìka. Inoltre viene prodotto anche un dolce caramelloso noto come "sottomarino vaniglia" (βανίλια υποβρύχιο, vanília ipobríchio), così chiamato perché viene servito su un cucchiaino, immerso in un bicchiere di acqua fredda, da mangiare come fosse un lecca-lecca e reimmergere in acqua per farlo ammorbidire di nuovo. In Sardegna la resina viene usata nella produzione di un gin locale, il Giniu.
È una pianta velenosa per la presenza di alcaloidi e saponine (in particolare la protoanemonina), sostanze presenti anche in altri generi della famiglia, che si accumula soprattutto negli organi più vecchi. Può provocare irritazioni cutanee al contatto. È considerata una pianta infestante del bosco. Infatti, specialmente in associazione con i rovi, la vitalba crea dei veri e propri grovigli inestricabili a danno della vegetazione arborea che viene pesantemente aggredita e soffocata. Tali presenze sono infatti quasi sempre l'espressione di un degrado boschivo.
È pianta visitata dalle api, che ne raccolgono il nettare. Viene usata in cucina utilizzando i germogli primaverili per le frittate ("vitalbini" in Toscana, "visoni" in Veneto). A causa delle tossine comuni alla famiglia delle Ranunculaceae è consigliabile non consumarne grosse quantità. Bisogna utilizzare esclusivamente le parti molto giovani della clematide in cui la concentrazione delle sostanze tossiche è molto bassa.
Il biancospino è arbusto o un piccolo albero molto ramificato, contorto e spinoso, appartenente alla famiglia delle Rosaceae e al genere dei Crataegus. Talvolta è usato il sinonimo Crataegus oxyacantha. Crataegus monogyna.
Si trova in Europa, Nordafrica, Asia occidentale e America settentrionale. Il suo habitat naturale è rappresentato dalle aree di boscaglia e tra i cespugli, in terreni prevalentemente calcarei. Vegeta a quote comprese tra 0 e 1.500 metri. I frutti sono ovali, rossi a maturazione, delle dimensioni di circa 1 cm e con un nocciolo che contiene il seme. La fioritura avviene tipicamente tra aprile e maggio, mentre i frutti maturano fra settembre e ottobre.
I frutti del biancospino sono edibili, ma solitamente non vengono mangiati freschi, perché piccoli e con un grosso nocciolo, bensì lavorati per ottenere marmellate, gelatine o sciroppi. I frutti sono decorativi perché rimangono a lungo sull'arbusto, anche durante tutto l'inverno.
Il corniolo è specie propria dell'Europa centro-orientale sino al Caucaso e all'Asia minore; in Italia si trova in tutta la penisola, ma è più frequente nelle regioni settentrionali. È una specie che predilige i terreni calcarei, e vive in piccoli gruppi nelle radure dei boschi di latifoglie, tra gli arbusti e nelle siepi del piano sino a 1300 (anche 1530) metri.
I piccoli frutti rossi vengono lavorati, oltre che per la produzione di succhi di frutta e marmellate (ottime come accompagnamento al bollito di carne), anche per aromatizzare alcuni tipi di alcolici, come, ad esempio, la grappa. I prezzi di questi prodotti sono relativamente alti a causa della bassa fertilità e del piccolo contenuto di alcool.
Si possono mangiare i frutti anche freschi, ma è preferibile gustare quelli appena caduti o quelli che si staccano dallo stelo con un leggero tocco di mano, cioè quando sono a piena maturazione.
È una specie arborea appartenente alla famiglia delle Rosaceae. Il pero mandorlino è una specie steno-mediterranea, diffusa dalla Spagna fino alla Turchia con particolare riferimento alle seguenti regioni: Catalogna, Provenza, Italia centro-meridionale, Istria, Dalmazia, Serbia meridionale, Peloponneso, Creta, Rodi, Bitinia e Tracia. Vive dal Lauretum al Fagetum in forma sporadica, ma talora anche in macchie. Lo troviamo nelle garighe percorse dal fuoco, spesso unico alberello che riesce a resistere ai ripetuti passaggi del fuoco; lo troviamo ancora lungo le scarpate ferroviarie. Vegeta nelle macchie, nelle radure, lungo i sentieri. Il suo habitat è quello delle zone tra 0 e 1100 m s.l.m.. È presente nell’Italia meridionale e nelle isole. Nel versante tirrenico sale sino in Liguria.
Lo si trova frequentemente come arbusto alto sui 3 metri ma può raggiungere i 10 metri di altezza e i 4 metri di circonferenza come il monumentale pero di Pianetti a Gratteri nel parco delle Madonie.
Di questa pianta si utilizzano i frutti maturi; come le nespole e le sorbe, prima del consumo necessitano di un lungo periodo di ammezzimento. Usati anche cotti in vino e zucchero, per fare sciroppo, gelatina e marmellata.
Viene chiamato anche albatro o, poeticamente, arbuto, è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Ericaceae e al genere Arbutus. È diffuso nei paesi del Mediterraneo occidentale e sulle coste meridionali dell'Irlanda. I frutti vengono chiamati corbezzole o talvolta albatre. Uno stesso arbusto ospita contemporaneamente fiori e frutti maturi, per il particolare ciclo di maturazione. Questo, insieme al fatto di essere sempreverde, lo rende particolarmente ornamentale, per la presenza sull'albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie. Dato che questi sono i colori della bandiera d'Italia, il corbezzolo è considerato uno dei simboli patri italiani.
I fiori sono riuniti in pannocchie pendule che ne contengono tra 15 e 20. La corolla è di colore bianco-giallastro o rosea, urceolata e con 5 piccoli denti ripiegati verso l'esterno larghi 5-8 millimetri e lunghi 6-10 millimetri. Le antere sono di colore rosso scuro intenso con due cornetti gialli. I fiori sono ricchi di nettare e per questo motivo intensamente visitati dalle api, se il clima non è già diventato troppo freddo. Ù
Dai fiori di corbezzolo si ricava dunque l'ultimo miele della stagione, pregiato per il suo sapore particolare, amarognolo e aromatico. Questo miele è prezioso anche perché non sempre le api sono ancora attive al momento della fioritura e non tutti gli anni è possibile produrlo, essendo la fioritura in ottobre-novembre. Il frutto è una bacca sferica di circa 2 centimetri, carnosa e rossa a maturità, ricoperta di tubercoli abbastanza rigidi spessi qualche millimetro; i frutti maturi hanno un buon sapore, che non tutti, però, apprezzano.
È possibile utilizzare i frutti per preparazioni casalinghe (confetture) e altre ricette.
I frutti maturano in ottobre-dicembre, nell'anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, hanno una maturazione scalare e possono essere presenti sullo stesso arbusto bacche rosse mature e più chiare ancora acerbe.
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